DEPRESSIONE – I tre volti della depressione

14/03/2016

DEPRESSIONE – I tre volti della depressione

DEPRESSIONE - I tre volti della depressione

immagine di Slawek Gruca

La maggior parte delle persone usa la parola “depressione” per descrivere molte esperienze distinte e separate quali il dolore, la delusione, momenti di infelicità, la reazione ad un evento spiacevole ecc…

Quando utilizzo il termine “depressione” mi riferisco alla “depressione clinica”, il tipo di sofferenza mentale ed emotiva che viene diagnosticata da uno specialista della salute (psicologo, psicoterapeuta, medico psichiatra). Ho visto tante persone depresse nel corso degli anni e sulla base della mia esperienza ritengo plausibile delineare le radici della loro sofferenza in tre differenti aree, che non sempre sono da considerarsi distinte ma spesso si sovrappongono e si mescolano in vari modi.

Di seguito propongo una riflessione su 3 tipi di depressione e sulle loro origini, con l’intenzione di delinearne meglio le caratteristiche.

1. La rabbia post-bellica

A cominciare da Freud, gli psicoterapeuti hanno frequentemente notato il collegamento tra rabbia e depressione descrivendo questo specifico stato emotivo come “la rabbia rivolta all’interno”.

La rabbia implosiva e violenta spesso è al centro di alcune forme gravi di depressione. Le persone per una serie di motivazioni individuali (senso di colpa, vergogna, condizionamenti, senso di impotenza, timore di esprimersi, ecc…) implodono per paura di esplodere. E’ un rapporto con la propria aggressività che necessita di essere compreso, rispettato e poi gestito.

Utilizzo l’espressione “post-bellica” visto che con molti clienti gravemente depressi ho potuto constatare una devastazione interna, come se al loro interno fosse esplosa una violenta deflagrazione che avesse devastando le loro menti e i loro animi lasciandoli aridi e desolati, come rifiuti di se stessi. Tale tipologia di persone potrebbe partecipare ad una seduta psicoterapeutica e giacere inerte sul divano; si potrebbe dire che si sentono delle nullità, tramortiti, intontiti, appesantiti anche fisicamente da una pressione che appiattisce ogni emozione. Nel lavoro terapeutico con questi pazienti si percepisce come il senso della vita sia andato completamente distrutto e abbia lasciato il posto al vuoto emozionale. Queste persone non provano più alcun interesse o motivazione nel fare alcunché e a volte riferiscono di avere una sensazione di forte pressione al viso o intorno agli occhi (per maggiori informazioni si veda il mio articolo BIOENERGETICA – Le emozioni nel corpo, al punto 1 “Segmento Oculare”)

Ricreare gli eventi emozionali che hanno portato a questo stato di devastazione richiede molto tempo e pazienza. Il compito è reso complicato dal fatto che la rabbia è quasi sempre inconsapevole, il cliente non si sente arrabbiato e non pensa che la rabbia stia imperversando dentro di lui. Potrebbe percepirsi un accenno di questa rabbia nei contenuti riportati dal paziente quando inizia a parlare, a raccontarsi, o più spesso la si può avvertire implicitamente o intuire attraverso i suoi sogni. Spesso il paesaggio post-bellico appare nei sogni delle persone depresse in immagini di ghetti squallidi, vasti deserti senza vita, terreno bruciato o scenari desolati di ogni tipologia.

Quando si dispone di un forte legame empatico con il cliente, il terapeuta può avvertire un senso di rabbia crescente in se stesso, soprattutto durante i momenti di silenzio, nonostante questo possa sembrare apparentemente inspiegabile. Avviene un’induzione di ruolo in cui il terapeuta percepisce e vive ciò che il paziente non si concede di vivere. Il terapeuta si propone di favorire nel paziente la consapevolezza di questa rabbia in un ambiente protetto come quello terapeutico (in metodi attivi come ad esempio lo Psicodramma, questa espressione non avviene solo a livello di consapevolezza verbale, ma viene anche espressa con particolari esercizi e tecniche attraverso il corpo). E’ importante la comprensione delle emozioni quanto delle sensazioni somatiche. Le emozioni, così come le parole, si trasmettono attraverso onde vibrazionali in tutto il regno animale. E’ naturale che il terapeuta percepisca questa rabbia.

Questa rabbia spesso è una difesa contro i timori di disintegrazione o può essere una specie di onnipotente reazione distruttiva al sentirsi insopportabilmente bisognosi, piccoli o frustrati. In ogni caso si tratta di un segno di progresso quando questi clienti possono sperimentare ed esprimere la rabbia nelle loro sessioni senza distruggere il loro processo di trattamento. Aiutare il cliente a tollerare questo tipo di rabbia può comportare un lavoro di anni.

2. Il Sé frammentato

Qualunque sia l’orientamento teorico dello Psicoterapeuta, la maggior parte di noi concorda sul fatto che quando la relazione madre-bambino va male, per motivi diversi che ora non starò a spiegare, questa incide sul senso di Sé del bambino. Più sono insicure quelle prime esperienze (cioè meno disponibile o inconsistente la madre) più instabile è il senso di Sé del bambino e del futuro adulto. Nei casi più gravi la persona può sentirsi costantemente in pericolo, di cadere a pezzi sotto la pressione di un’intensa emozione. L’ansia può così essere un segno del nucleo traballante del Sé, in cui la persona si sente spaventata dalla disgregazione; mentre la depressione può essere un altro segnale con il quale la persona può sentirsi come se fosse già andata in pezzi. Tale disintegrazione può essere vissuta come una sorta di morte psichica personale. I sentimenti depressivi che risultano sono simili a quelli del lutto, un lutto per se stessi, pieni di dolore, disperazione e senza speranza perché nulla può più essere fatto per salvare il Sé frammentato.

Questo tipo di persona necessita una psicoterapia prudente e un forte legame empatico con il proprio psicoterapeuta. Si può definire questo percorso terapeutico come una “esperienza emozionale correttiva” (rif. Franz Alexander e Thomas M. French), un rivivere la genitorialità. Date le insicurezze del loro precoce attaccamento tali clienti hanno inizialmente bisogno di regredire e diventare emotivamente dipendenti dal terapeuta in misura significativa. Nel contesto del rapporto terapeutico imparano a capire e tollerare sentimenti inconfessati, aiutati dall’ambiente emotivo sicuro che la psicoterapia fornisce. Anche in questo caso il lavoro richiede anni, quasi sempre è opportuna più di una seduta la settimana.

3. Il Sé rifiutato

In ambienti particolarmente “tossici”, in cui i genitori possono essere offensivi o propensi a trasmettere il proprio sentimento di inadeguatezza o di confusione sui figli, alcuni bambini possono crescere con intensi sentimenti di vergogna. Invece di sperimentare se stessi come se fossero a pezzi (vedi il punto 2 “il Sé frammentato”), queste persone arrivano a sentirsi indegne, danneggiate, brutte, disgustose, ripugnanti, spregevoli, ecc… C’è stato un momento nella loro storia personale in cui hanno percepito il loro autentico Sé come profondamente danneggiato e in uno stato di tale decadimento da essere ormai irrecuperabile. In questi casi tentano di difendersi strenuamente dietro a sentimenti di depressione e indegnità; spesso ospitano un falso Sé organizzato intorno alle difese caratterizzate dalla vergogna rivoltando la loro “depressione” verso gli altri. Possono perciò apparire come persone arroganti e superbe o provare disprezzo nei confronti di chi percepiscono bisognoso o vulnerabile. In realtà, nel loro profondo, provano un enorme disprezzo per il proprio autentico Sé danneggiato e non vogliono avere nulla a che fare con se stessi.

Il lavoro con questi clienti, quando mai raggiungono la consapevolezza di cercare uno psicoterapeuta per incominciare la terapia, è quello di aiutarli a diventare depressi. In altre parole, è un segno di progresso quando queste persone possono provare sentimenti depressivi. Quando provano il dispiacere per quello che è stato nel passato, allora trovano il risveglio. Di solito non avvertono questa depressione come un progresso e di conseguenza interrompono prematuramente il loro percorso terapeutico.

Una variante particolarmente difficoltosa sono le persone devote alla superficialità, che diventano arditi sostenitori della psicoterapia. Questi individui cercano di scongiurare la depressione e la consapevolezza del danneggiamento con un falso Sé pseudo-terapeutico che utilizza il linguaggio di introspezione e comprensione emotiva con scioltezza, ma non si avvicinano mai all’autentica causa della vergogna. La sfida con tali soggetti è nel portarli a contatto con il loro Sé attuale in modo tale che essi non lo sperimentino come una ferita narcisistica insopportabile. Il lavoro richiede sempre anni.

TROVARE LA PROPRIA STRADA

Tristezza, disperazione e sentimenti di bassa autostima sono alcuni dei sintomi tipici della “depressione”.

Se vi rivedete in quello che avete appena letto prendete in seria considerazione la possibilità di consultare uno psicologo psicoterapeuta. La depressione richiede una psicoterapia ad indirizzo dinamico e nei casi più gravi a lungo termine.

Le auto-diagnosi non sono mai la risposta

La terapia cognitivo-comportamentale ha dimostrato di alleviare i sintomi in buona misura ma non sempre è la risposta definitiva e risolutiva. La cultura occidentale predispone le persone a cercare “soluzioni” rapide (che spesso non sono soluzioni ma palliativi o modi per rimandare il problema) dimenticando che ogni persona è unica e complessa. Cercare soluzioni rapide è un modo per non voler affrontare e rispettare la propria complessità. E’ bene comprendere che ci può essere il caso “rapidamente” risolvibile, ma un professionista serio sarà in grado di stabilirlo dopo avervi ascoltato, non prima!

Dott.ssa Marcella Caria


ATTENZIONE! Il materiale pubblicato è volto ad essere spunto di riflessione sui temi trattati e non vuole essere in alcun modo sostitutivo di indicazioni e/o trattamenti terapeutici. La gestione di difficoltà e disagi emotivi deve sempre essere affrontata con l’aiuto  di professionisti del settore. E’ pertanto importante contattare direttamente una figura professionale competente affinché possa valutare la specifica situazione e fornire le adeguate indicazioni terapeutiche.